sabato 11 febbraio 2012

PILLOLE DI PAROLA a cura di Cristina Rossini

SESTA DOMENICA

DEL TEMPO ORDINARIO












MONIZIONE AMBIENTALE

Per i rabbini il lebbroso era un morto in vita tanto che una sua eventuale guarigione avrebbe suscitato l’effetto di una risurrezione da morte. Tale malattia era la più grave forma di impurità fisica che potesse capitare ad un uomo. Egli veniva privato della possibilità del culto e separato dalla comunione di vita con Dio come lo era chi stava nella tomba. Con Gesù tutto questo acquista un senso totalmente diverso, il dolore è un campo in cui la fede si può fortificare, e la Speranza può diventare certezza. È la grande occasione dell’esistenza da vivere e donare a Dio. Cristo è presente in questa esperienza umana, lotta contro il male e il limite. La dove c’è il dolore, là dove c’è la sofferenza o l’imperfezione, la c’è il Cristo e dovrebbe esserci ogni cristiano.

 MONIZIONE ALLA PRIMA LETTURA
 
Una tragica figura avanza su una strada della Palestina, le sue vesti sono lacerate, i capelli scarmigliati, la barba velata in segno di lutto. A quella vista tutti fuggono quasi come di fronte ad un mostro. La pelle chiazzata e corrosa di quell’uomo rivela la presenza di un lebbroso, lo scomunicato per eccellenza, un cadavere ambulante. La malattia per l’antico Israele era considerata  punizione per un peccato, quale enorme colpa doveva essere alla radice di un malato di lebbra. La tradizione rabbinica giungeva al punto di proibire ai lebbrosi persino di accostarsi alle mura della città santa, Gerusalemme.

 MONIZIONE ALLA SECONDA LETTURA

 Nella nostra esistenza dobbiamo farci imitatori di Cristo, secondo il richiamo di Paolo; come lui dobbiamo farci peso dell’umanità che ci circonda. Il cristiano non può restare indifferente, è l’amore stesso di Cristo che ci spinge verso gli altri, in particolare verso tutti gli emarginati, i sofferenti, i bisognosi di ogni genere.

 MONIZIONE AL VANGELO

Gesù osa entrare in contatto con un lebbroso, egli vuole toccarlo, violando tutte le norme di purità, addossandosi il suo male, quasi condividendone il destino, spezzandone l’isolamento totale. Non è più il sacerdote dell’antico testamento che insegna al popolo che cosa si può o non si può fare,ciò che è puro e ciò che non lo è. Egli lo tocca, cioè prende su di se la sua infermità, partecipa alla sua triste condizione. Il cristiano autentico deve camminare come il suo Signore sulle strade dei malati di ogni tipo di lebbra, provando compassione per loro, stendendo le mani, toccando le piaghe e implorando guarigione e liberazione dall’Unico che può salvare veramente.

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