mercoledì 15 febbraio 2012

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER LA QUARESIMA 2012


«Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone» (Eb10,24)


Fratelli e sorelle

a Quaresima ci offre ancora una volta l'opportunità di riflettere sul cuore della vita
cristiana: la carità. Infatti questo è un tempo propizio affinché, con l'aiuto della
Parola di Dio e dei Sacramenti, rinnoviamo il nostro cammino di fede, sia personale
che comunitario. E' un percorso segnato dalla preghiera e dalla condivisione, dal
silenzio e dal digiuno, in attesa di vivere la gioia pasquale.
Quest’anno desidero proporre alcuni pensieri alla luce di un breve testo biblico
tratto dalla Lettera agli Ebrei: «Prestiamo attenzione gli uni agli altri per stimolarci a
vicenda nella carità e nelle opere buone» (10,24). E’ una frase inserita in una
pericope dove lo scrittore sacro esorta a confidare in Gesù Cristo come sommo
sacerdote, che ci ha ottenuto il perdono e l'accesso a Dio. Il frutto dell'accoglienza di
Cristo è una vita dispiegata secondo le tre virtù teologali: si tratta di accostarsi al
Signore «con cuore sincero nella pienezza della fede» (v. 22), di mantenere salda «la
professione della nostra speranza» (v. 23) nell'attenzione costante ad esercitare
insieme ai fratelli «la carità e le opere buone» (v. 24). Si afferma pure che per
sostenere questa condotta evangelica è importante partecipare agli incontri liturgici
e di preghiera della comunità, guardando alla meta escatologica: la comunione
piena in Dio (v. 25). Mi soffermo sul versetto 24, che, in poche battute, offre un
insegnamento prezioso e sempre attuale su tre aspetti della vita cristiana:
l'attenzione all'altro, la reciprocità e la santità personale.


1. «Prestiamo attenzione»: la responsabilità verso il fratello.

Il primo elemento è l'invito a «fare attenzione»: il verbo greco usato è  katanoein,che significa osservare bene, essere attenti, guardare con consapevolezza, accorgersi di una realtà. Lo troviamo nel Vangelo, quando Gesù invita i discepoli a «osservare» gli uccelli del cielo, che pur senza affannarsi sono oggetto della sollecita e premurosa Provvidenza divina (cfr Lc 12,24), e a «rendersi conto» della trave che c’è nel proprio occhio prima di guardare alla pagliuzza nell'occhio del fratello (cfr Lc 6,41). Lo troviamo anche in un altro passo della stessa Lettera agli Ebrei, come invito a
«prestare attenzione a Gesù» (3,1), l'apostolo e sommo sacerdote della nostra fede.
Quindi, il verbo che apre la nostra esortazione invita a fissare lo sguardo sull’altro,
prima di tutto su Gesù, e ad essere attenti gli uni verso gli altri, a non mostrarsi
estranei, indifferenti alla sorte dei fratelli. Spesso, invece, prevale l’atteggiamento
contrario: l’indifferenza, il disinteresse, che nascono dall’egoismo, mascherato da
una parvenza di rispetto per la «sfera privata». Anche oggi risuona con forza la voce
del Signore che chiama ognuno di noi a prendersi cura dell'altro. Anche oggi Dio ci
chiede di essere «custodi» dei nostri fratelli (cfr Gen 4,9), di instaurare relazioni
caratterizzate da premura reciproca, da attenzione al bene dell'altro e a tutto il suo
bene. Il grande comandamento dell'amore del prossimo esige e sollecita la
consapevolezza di avere una responsabilità verso chi, come me, è creatura e figlio di
Dio: l’essere fratelli in umanità e, in molti casi, anche nella fede, deve portarci a
vedere nell'altro un vero alter ego, amato in modo infinito dal Signore. Se coltiviamo
questo sguardo di fraternità, la solidarietà, la giustizia, così come la misericordia e la
compassione, scaturiranno naturalmente dal nostro cuore. Il Servo di Dio Paolo VI
affermava che il mondo soffre oggi soprattutto di una mancanza di fraternità: «Il
mondo è malato. Il suo male risiede meno nella dilapidazione delle risorse o nel loro
accaparramento da parte di alcuni, che nella mancanza di fraternità tra gli uomini e
tra i popoli» (Lett. enc. Populorum progressio [26 marzo 1967], n. 66).
L’attenzione all’altro comporta desiderare per lui o per lei il bene, sotto tutti gli
aspetti: fisico, morale e spirituale. La cultura contemporanea sembra aver smarrito il
senso del bene e del male, mentre occorre ribadire con forza che il bene esiste e
vince, perché Dio è «buono e fa il bene» (Sal 119,68). Il bene è ciò che suscita,
protegge e promuove la vita, la fraternità e la comunione. La responsabilità verso il
prossimo significa allora volere e fare il bene dell'altro, desiderando che anch'egli si
apra alla logica del bene; interessarsi al fratello vuol dire aprire gli occhi sulle sue
necessità. La Sacra Scrittura mette in guardia dal pericolo di avere il cuore indurito
da una sorta di «anestesia spirituale» che rende ciechi alle sofferenze altrui.
L’evangelista Luca riporta due parabole di Gesù in cui vengono indicati due esempi
di questa situazione che può crearsi nel cuore dell’uomo. In quella del buon
Samaritano, il sacerdote e il levita «passano oltre», con indifferenza, davanti
all’uomo derubato e percosso dai briganti (cfr Lc 10,30-32),e in quella del ricco

epulone, quest’uomo sazio di beni non si avvede della condizione del povero Lazzaro
che muore di fame davanti alla sua porta (cfr Lc 16,19). In entrambi i casi abbiamo a
che fare con il contrario del «prestare attenzione», del guardare con amore e
compassione. Che cosa impedisce questo sguardo umano e amorevole verso il
fratello? Sono spesso la ricchezza materiale e la sazietà, ma è anche l’anteporre a
tutto i propri interessi e le proprie preoccupazioni. Mai dobbiamo essere incapaci di
«avere misericordia» verso chi soffre; mai il nostro cuore deve essere talmente
assorbito dalle nostre cose e dai nostri problemi da risultare sordo al grido del
povero. Invece proprio l’umiltà di cuore e l'esperienza personale della sofferenza
possono rivelarsi fonte di risveglio interiore alla compassione e all'empatia: «Il
giusto riconosce il diritto dei miseri, il malvagio invece non intende ragione» (Pr
29,7). Si comprende così la beatitudine di «coloro che sono nel pianto» (Mt 5,4),
cioè di quanti sono in grado di uscire da se stessi per commuoversi del dolore altrui.
L'incontro con l'altro e l'aprire il cuore al suo bisogno sono occasione di salvezza e di
beatitudine.
Il «prestare attenzione» al fratello comprende altresì la premura per il suo bene
spirituale. E qui desidero richiamare un aspetto della vita cristiana che mi pare
caduto in oblio: la correzione fraterna in vista della salvezza eterna. Oggi, in
generale, si è assai sensibili al discorso della cura e della carità per il bene fisico e
materiale degli altri, ma si tace quasi del tutto sulla responsabilità spirituale verso i
fratelli. Non così nella Chiesa dei primi tempi e nelle comunità veramente mature
nella fede, in cui ci si prende a cuore non solo la salute corporale del fratello, ma
anche quella della sua anima per il suo destino ultimo. Nella Sacra Scrittura
leggiamo: «Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà
ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s). Cristo
stesso comanda di riprendere il fratello che sta commettendo un peccato (cfr Mt
18,15). Il verbo usato per definire la correzione fraterna -elenchein-è il medesimo
che indica la missione profetica di denuncia propria dei cristiani verso una
generazione che indulge al male (cfr Ef 5,11). La tradizione della Chiesa ha
annoverato tra le opere di misericordia spirituale quella di «ammonire i peccatori».
E’ importante recuperare questa dimensione della carità cristiana. Non bisogna
tacere di fronte al male. Penso qui all’atteggiamento di quei cristiani che, per
rispetto umano o per semplice comodità, si adeguano alla mentalità comune,
piuttosto che mettere in guardia i propri fratelli dai modi di pensare e di agire che
contraddicono la verità e non seguono la via del bene. Il rimprovero cristiano, però,
non è mai animato da spirito di condanna o recrimina-zione;è mosso sempre


dall’amore e dalla misericordia e sgorga da vera sollecitudine per il bene del fratello.
L’apostolo Paolo afferma: «Se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo
Spirito correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere
tentato anche tu» (Gal 6,1). Nel nostro mondo impregnato di individualismo, è necessario riscoprire l’importanza della correzione fraterna, per camminare insieme verso la santità. Persino «il giusto cade sette volte» (Pr 24,16), dice la Scrittura, e noi tutti siamo deboli e manchevoli (cfr 1 Gv 1,8). E’ un grande servizio quindi aiutare e lasciarsi aiutare a leggere con verità se stessi, per migliorare la propria vita e
camminare più rettamente nella via del Signore. C’è sempre bisogno di uno sguardo
che ama e corregge, che conosce e riconosce, che discerne e perdona (cfr Lc 22,61),
come ha fatto e fa Dio con ciascuno di noi.
2. «Gli uni agli altri»: il dono della reciprocità.

Tale «custodia» verso gli altri contrasta con una mentalità che, riducendo la vita allasola dimensione terrena, non la considera in prospettiva escatologica e accetta
qualsiasi scelta morale in nome della libertà individuale. Una società come quella
attuale può diventare sorda sia alle sofferenze fisiche, sia alle esigenze spirituali e
morali della vita. Non così deve essere nella comunità cristiana! L’apostolo Paolo
invita a cercare ciò che porta «alla pace e alla edificazione vicendevole» (Rm 14,19),
giovando al «prossimo nel bene, per edificarlo» (ibid. 15,2), senza cercare l'utile
proprio «ma quello di molti, perché giungano alla salvezza» (1 Cor 10,33). Questa
reciproca correzione ed esortazione, in spirito di umiltà e di carità, deve essere parte
della vita della comunità cristiana.
I discepoli del Signore, uniti a Cristo mediante l’Eucaristia, vivono in una comunione
che li lega gli uni agli altri come membra di un solo corpo. Ciò significa che l'altro mi
appartiene, la sua vita, la sua salvezza riguardano la mia vita e la mia salvezza.
Tocchiamo qui un elemento molto profondo della comunione:la nostra esistenza è
correlata con quella degli altri, sia nel bene che nel male; sia il peccato, sia le opere
di amore hanno anche una dimensione sociale. Nella Chiesa, corpo mistico di Cristo,
si verifica tale reciprocità: la comunità non cessa di fare penitenza e di invocare
perdono per i peccati dei suoi figli, ma si rallegra anche di continuo e con giubilo per
le testimonianze di virtù e di carità che in essa si dispiegano. «Le varie membra
abbiano cura le une delle altre»(1 Cor 12,25), afferma San Paolo, perché siamo uno
stesso corpo. La carità verso i fratelli, di cui è un’espressione l'elemosina-tipica
pratica quaresimale insieme con la preghiera e il digiuno -si radica in questa
comune appartenenza. Anche nella preoccupazione concreta verso i più poveri ogni cristiano può esprimere la sua partecipazione all'unico corpo che è la Chiesa.
Attenzione agli altri nella reciprocità è anche riconoscere il bene che il Signore
compie in essi e ringraziare con loro per i prodigi di grazia che il Dio buono e
onnipotente continua a operare nei suoi figli. Quando un cristiano scorge nell'altro
l'azione dello Spirito Santo, non può che gioirne e dare gloria al Padre celeste (cfr Mt
5,16).
3. «Per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone»: camminare insieme
nella santità.
Questa espressione della Lettera agli Ebrei (10,24) ci spinge a considerare la
chiamata universale alla santità, il cammino costante nella vita spirituale, ad aspirare
ai carismi più grandi e a una carità sempre più alta e più feconda (cfr 1 Cor 12,31
13,13). L'attenzione reciproca ha come scopo il mutuo spronarsi ad un amore

effettivo sempre maggiore, «come la luce dell'alba, che aumenta lo splendore fino al
pomeriggio» (Pr 4,18), in attesa di vivere il giorno senza tramonto in Dio. Il tempo chei è dato nella nostra vita è prezioso per scoprire e compiere le opere di bene,
nell’amore di Dio. Così la Chiesa stessa cresce e si sviluppa per giungere alla piena
maturità di Cristo (cfr Ef 4,13). In tale prospettiva dinamica di crescita si situa la
nostra esortazione a stimolarci reciprocamente per giungere alla pienezza
dell'amore e delle buone opere.
Purtroppo è sempre presente la tentazione della tiepidezza, del soffocare lo Spirito,
del rifiuto di «trafficare i talenti» che ci sono donati per il bene nostro e altrui (cfr
Mt 25,25s). Tutti abbiamo ricevuto ricchezze spirituali o materiali utili per il
compimento del piano divino, per il bene della Chiesa e per la salvezza personale (cfr
Lc 12,21b; 1 Tm 6,18). I maestri spirituali ricordano che nella vita di fede chi non
avanza retrocede. Cari fratelli e sorelle, accogliamo l'invito sempre attuale a tendere
alla «misura alta della vita cristiana» (Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio
ineunte [6 gennaio 2001], n. 31). La sapienza della Chiesa nel riconoscere e
proclamare la beatitudine e la santità di taluni cristiani esemplari, ha come scopo
anche di suscitare il desiderio di imitarne le virtù. San Paolo esorta: «gareggiate
nello stimarvi a vicenda» (Rm 12,10).
Di fronte ad un mondo che esige dai cristiani una testimonianza rinnovata di amore
e di fedeltà al Signore, tutti sentano l’urgenza di adoperarsi per gareggiare nella
carità, nel servizio e nelle opere buone (cfr Eb 6,10). Questo richiamo è
particolarmente forte nel tempo santo di preparazione alla Pasqua. Con l’augurio di
una santa e feconda Quaresima, vi affido all’intercessione della Beata Vergine Maria
e di cuore imparto a tutti la Benedizione Apostolica.

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